godel,escher,bach

Qui si parla di libri, film, fumetti, documentari, software di argomento matematico o scientifico.
sgiangrag
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godel,escher,bach

Messaggio da sgiangrag »

avete letto "godel, escher, bach, 1 eterna ghirlanda brillante"? il mio professore me l'aveva consgliato come 1 libro da avere ma io ne ho letto 1 centinaio di pagine dopodichè ho smesso perchè mi sembrava che non parlasse di niente... voi che ne pensate?
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FrancescoVeneziano
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Messaggio da FrancescoVeneziano »

Un libro molto molto bello, sebbene il ritmo sia un po' lento ed a volte rischi di risultare noioso.
Contiene la migliore esposizione del teorema di Goedel che si trovi in giro, discorsi interessanti, anche se forse tecnicamente un po' superati, sull'intelligenza artificiale, e parla di un po' di tutto in modo ironico; a me è piaciuto molto.

E poi ci sono i dialoghi tra Achille e la Tartaruga...
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dimpim
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Messaggio da dimpim »

sgiangrag ha scritto:mi sembrava che non parlasse di niente
Al contrario, parla di molto. E forse anche troppo, magari risultando dispersivo; ma non dimentichiamo che l'intelligenza artificiale è un settore che interseca vari campi, per cui è impossibile farne una trattazione abbastanza completa senza discuterne la maggior parte.

Devo ancora finire di leggerlo, ma mi sembra un libro veramente eccezionale. In certe pagine ci sono dei contenuti geniali, folgoranti, che forniscono spunti di riflessione per intere settimane.

Concordo poi pienamente riguardo ai dialoghi: tra le più vivaci e stimolanti letture che abbia mai fatto.

Non è certamente un libro facile, ma credo di non sbagliare se dico che vale la pena comprarlo (sempre che l'argomento interessi, s'intende).
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desko
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Messaggio da desko »

Io mi ero messo a leggerlo, prendendolo in biblioteca, ma è un po' troppo pesante, dopo due rinnovi o dovuto riconsegnarlo e comunque avrei fatto fatica a finirlo. Ma sono convinto che ia un libro da leggere e da avere, prima oo poi lo comprerò e (spero) lo leggerò per intero.
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Sisifo
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Messaggio da Sisifo »

Io l'ho letto.. mi è sembrato un po' pesante... bella la dim del teorema di Goedel... (come si fa la o con l'umlaut?) La parte sull'intelligenza artificiale mi ha un po' stancato.
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desko
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Messaggio da desko »

Sisifo ha scritto:Io l'ho letto.. mi è sembrato un po' pesante... bella la dim del teorema di Goedel... (come si fa la o con l'umlaut?) La parte sull'intelligenza artificiale mi ha un po' stancato.
ö
Eccola, copia ed incolla.
Se hai un Mac puoi fare alt+U e poi O, altrimenti non so cosa indicarti: io uno un PC (Personal Computer) e non un WC (Windows Computer).
Pure se usi Linux non so esserti utile.
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CUCU
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Messaggio da CUCU »

Libro eccelso, un vero capolavoro.
Può sembrare che non parli di niente se non si ha una visione unitaria delle scienze formali ed umane, che è il messaggio che vuole trasmettere l'autore: l'I.A. è la scienza in cui convergono materie che superficialmente potrebbero sembrare non avere collegamenti, come logica matematica, matematica applicata, informatica teorica, linguistica, filosofia (si pensi alla rappresentazione della conoscenza in cui si deve per esempio preferire un approccio platonico rispetto ad un altro, teorie in cui la filosofia divene davvero una cosa pratica), scienze cognitive, ingegneria... arte (si pensi per esempio all'estetica computazionale) e molto ma molto altro!

Sul sito di Piergiorgio Odifreddi vi è un'intervista all'autore che di seguito riporto:



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Intervista a DOUGLAS HOFSTADTER

Piergiorgio Odifreddi



Se oggi la logica e alcune delle sue idee epocali sono note a un vasto pubblico, anche non scientifico, lo si deve soprattutto a «Gödel, Escher e Bach» di Douglas Hofstadter, che ha esibito una rete di connessioni, spesso insospettate e sorprendenti, fra i linguaggi naturali, artistici, logici, biologici, informatici e artificiali, ed è valso al suo autore il Premio Pulitzer nel 1980.

Sulla scia del successo del libro, e approfittando del pensionamento del mitico Martin Gardner, per due anni e mezzo «Scientific American» ha affidato a Hofstadter la rubrica mensile di (ri)creazione matematica. I suoi contributi, riuniti in un altro singolare volume dal titolo «Temi metamagici», lo hanno definitivamente trasformato in un «cult symbol» della divulgazione scientifica.

Le altre sue opere, da «Ambigrammi: un microcosmo ideale per lo studio della creatività» a «Concetti fluidi e analogie creative», hanno infine (di)mostrato che è possibile studiare l'intelligenza umana in maniera "analogica" e naturale, contrapposta a quella "digitale" e artificiale che troppo spesso monopolizza l'informatica.

Abbiamo intervistato Hofstadter il 29 maggio 2002 in Italia, un paese che visita regolarmente, e in italiano, una lingua che parla perfettamente.

«Vorrei cominciare da suo padre, Robert Hofstadter, che vinse il premio Nobel nel 1961 per le sue ricerche sulla struttura dei nucleoni (protoni e neutroni), poi sfociate nel modello dei «quark». Era difficile essere figlio di un fisico famoso?»

No, è sempre stato un piacere avere un padre che si interessava ai misteri della materia. Io adoravo sia lui, sia le cose che lui indagava: sono sempre rimasto affascinato dalle particelle, specialmente le più piccole. Quando ha vinto il premio Nobel mi sono sentito onorato anch'io, e ho accompagnato mio padre alla cerimonia, con mia madre e la mia sorella maggiore.

«Lei dunque è nato come fisico.»

Anche come matematico. Già a tre o quattro anni mi interessavo profondamente ai numeri, oltre che alle particelle. E ho preso una laurea in matematica a Stanford, prima di fare il dottorato in fisica.

«E a Gödel come è arrivato?»

Il mio interesse per i problemi della mente è cominciato a dodici anni, quando ho iniziato lo studio della mia prima lingua straniera, il francese. Per me era un miracolo osservare il linguaggio e cercare di capire cosa facevo quando parlavo. Ho scoperto che usavo già inconsciamente in inglese le regole che stavo imparando consciamente per il francese.

«E anche la distinzione fra linguaggio e metalinguaggio, quando le regole del francese erano spiegate in inglese.»

Non so se ho fatto questa distinzione allora, ma un giorno ho trovato in una libreria «La prova di Gödel» di Nagel e Newman. Non avevo idea di cosa fossero Gödel o il suo teorema, ma il titolo mi ha attratto. L'ho sfogliato, e ho visto che era molto interessante. Ricordo ancor oggi le virgolette che indicavano la distinzione fra uso e menzione, cioè appunto fra linguaggio e metalinguaggio. E' allora che ho incominciato a interessarmi alla logica. Poi l'ho studiata quando ero a Stanford: da solo, perchè i corsi non erano molto interessanti.

«Strano, visto che a Stanford c'erano professori come Cohen, Feferman, Kreisel, Forse lei era interessato agli aspetti filosofici della logica, più che a quelli matematici.»

E' vero. Il mio interesse per la logica aveva molto a che vedere con il mio interesse per le lingue, con una curiosità particolare per il funzionamento della mente: come pensiamo, come creiamo, come percepiamo, ecc. Ricordo che molto spesso compravo libri di logica che mettevano in luce le ricadute sul pensiero e sul linguaggio. Quelli troppo tecnici non mi interessavano.

«Che libri erano? Russell? Quine?»

Ho provato con Quine, ma era troppo denso. Ho letto qualcosa di Carnap, ma non era molto interessante. E naturalmente qualcosa di Smullyan, la «Teoria dei sistemi formali», che era bellissimo: ne ho letto solo venti o trenta pagine, ma bastavano, perchè c'era una dimostrazione di Gödel molto concisa e bella, che mi ha influenzato.

«E perchè, con questi interessi, non ha fatto un dottorato in logica?»

Nel 1966 mi sono effettivamente iscritto al dottorato in matematica a Berkeley, ma sono rimasto molto deluso: tutto quello che dovevo studiare (la topologia, l'algebra) era troppo difficile, troppo astratto. Mi sono arreso dopo un anno e mezzo, e sono passato a fisica perchè volevo fare qualcosa che avesse ancora a che fare con la matematica. Ma volevo a tutti i costi evitare il contatto con quelli che oggi si chiamerebbero gli informatici, perchè mi sentivo respinto dalla loro "purezza". Volevo stare fra gente più civilizzata, e i fisici li conoscevo fin dall'infanzia. Avevo l'impressione che i fisici fossero persone molto colte, e vivessero in un mondo raffinato: da un lato l'indagine del mondo, dall'altro la musica di Bach.

«E i matematici no?»

Erano troppo strani. Io volevo un contatto con esseri umani normali, non bizzarri. Ad esempio, ho incontrato tre o quattro volte Erdös, che era gentile ma mi repelleva. Lui era un caso estremo, ma tanti matematici gli assomigliano. E a me piacciono le persone semplici, la gente concreta.

«Quando ha cominciato a scrivere «Gödel, Escher e Bach»?»

Nel 1972, e l'ho finito nel 1978. Ma ci ho lavorato a spizzichi, perchè ero ancora uno studente e il dottorato "interferiva". Poi, naturalmente, sono rimasto sorpreso dalla ricezione del pubblico. Il libro è un fenomeno molto più grande di me, e per molti è diventato quello che per me era stato il libro di Nagel e Newman.

«Naturalmente, in «Gödel, Escher e Bach» lei affronta il problema dell'Intelligenza Artificiale.»

E' un interesse che risale alle stesse fonti alle quali ho già accennato: qual è il rapporto tra la lingua, i concetti e le parole? che cos'è un concetto? che meccanismi usiamo per pensare? La logica forniva una prima approssimazione di risposta a queste domande. Da Lebniz a Frege, tutti volevano catturare il pensiero umano in regole, in leggi formali: pensiamo a «Le leggi del pensiero» di Boole.

«O al sottotitolo dell'«Ideografia» di Frege: "un linguaggio in formule del pensiero puro".»

In quel senso l'Intelligenza Artificiale è radicata nella logica. Per me è stato molto difficile all'inizio, perchè avevo studiato con riverenza la logica su testi che dicevano che la differenza tra "e" e "ma" era solo un sapore, una sfumatura, qualcosa che non conta e non ha interesse. Da giovane ci ho creduto, ci sono cascato totalmente. C'è voluto molto sforzo mentale per superare questo pregiudizio, che "ma" era una variante banale di "e". Poi ho capito che in parole come "ma" risiede l'essenza del pensiero umano.

«In realtà questo lo sapevano già i greci, da Aristotele a Crisippo, che non pensavano certamente in termini di logica classica. Ma non è proprio questo il modo in cui procede la scienza, facendo semplificazioni drastiche per poter sviluppare una teoria?»

Certamente. E comunque per me la logica rimane una cosa bella. Anche se non è un modello fedele del pensiero, ci ha dato idee molto importanti e profonde: ad esempio, appunto, il teorema di Gödel.

«Dal suo lavoro, ad esempio sullo studio del processo creativo, mi sembra che lei abbia un'idea dell'Intelligenza Artificiale molto meno ingenua di quella che veniva propagandata negli anni '50.»

Forse perchè la cosa che a me interessa veramente è il pensiero umano, e non il computer. Anche se da adolescente ho fatto moltissimi esperimenti numerici sul computer: era il mio accelleratore, e le mie particelle erano i numeri. Ho indagato migliaia di sequenze ricorsive e ho fatto migliaia di scoperte, piccole e grandi. In quel senso il computer mi incantava, e mi domandavo sempre se il programma stava pensando mentre calcolava. Soprattutto quando ho fatto, nel 1964, un programma che creava frasi in diverse lingue, e che a volte ne produceva di veramente buffe: mi domandavo cosa bisognava aggiungergli per farlo pensare veramente.

«Quindi ha seguito un suo percorso personale, indipendente dai tre grandi filoni dell'Intelligenza Artificiale legati ai nomi di Simon, Minsky e McCarthy.»

All'epoca non avevo nemmeno sentito parlare dell'Intelligenza Artificiale, e loro non li ho mai letti neppure dopo. In realtà queste problematiche sono rimaste in letargo, dormienti nella mia mente, per una decina d'anni. Sono poi riaffiorate agli inizi degli anni '70, quando mi sono imbattuto nel «Profilo di logica matematica» di Howard Delong: un libro fantastico, che sembrava scritto apposta per me. Ho cominciato a ripensare a tutte queste cose, e ho iniziato a scrivere «Gödel, Escher e Bach».

«Venticinque anni dopo, come rivede le speculazioni sull'Intelligenza Artificiale che aveva fatto nel libro?»

In linea di massima, sono ancora d'accordo con le idee che ho espresso allora. Anche se nel libro tenevo un po' un piede in due scarpe: a volte mi ispiravo ancora al modello logico del pensiero, e altre volte pensavo all'intelligenza come a qualcosa di distribuito. L'idea del formicaio, della collettività che emerge da eventi totalmente autonomi.

«Non è la "società della mente" di Minsky?»

Più o meno, anche se per lui gli "individui" della società della mente sono cose più grandi. Nel libro, comunque, a volte parlavo come se credessi ancora al vecchio modello logico, dove ci sono leggi e regole che controllano i simboli. Ma altre volte, anzi, nella maggior parte dei casi, parlavo di simboli "attivi": dunque, non cose passive manipolate da regole. Il mio punto di vista stava cambiando mentre scrivevo: avevo ancora un residuo formalista, ma stavo orientandomi verso un'idea dell'intelligenza come fenomeno emergente.

«Che pensa di PDP, la teoria dei "processi paralleli distribuiti"?»

Ha dato dei contributi importanti. E' ovviamente molto importante fare un legame tra neuroni e simboli, stabilire qual è il ponte di collegamento fra il livello cerebrale e quello concettuale. Il problema è che si è finito col creare l'illusione che il livello simbolico non esista, che i simboli non abbiano una loro realtà. Sarebbe come voler eliminare ogni riferimento al cuore, ad esempio, e voler parlare soltanto delle cellule di cui è costituito.

«Ma questo non è vero dovunque? Dalle neuroscienze è scomparsa la coscienza, cosí come dalla biologia molecolare è scomparsa la vita.»

No, no! I biologi «stabiliscono» i ponti tra i vari livelli di descrizione: aminoacidi, DNA, proteine, cellule, ...

«Certo. Ma, per dirla con Schrödinger, che cos'è la vita? Bohr si lamentava appunto del fatto che il lavoro di Watson e Crick non dà nessuna risposta alla domanda.»

Io non sono d'accordo. Sarebbe come dire: capiamo i fotoni, ma dov'è la luce? Oppure, vediamo gli alberi, ma dov'è la foresta? Si possono guardare gli alberi, o si può guardare la foresta. Basta avere la capacità di passare da un livello all'altro, e di vedere il collegamento tra di essi.

«Ma vedere il livello della vita significa, appunto, uscire dalla biologia. Anzi, gli scienziati hanno spesso diffidenza verso questo genere di problematiche, e dicono chiaramente che la scienza "descrive ma non spiega".»

Per me la vita sta nella riproduzione e nella selezione. E potrebbe succedere anche sulla superficie di Marte, o di una stella di neutroni.

«Per von Neumann, invece, il segreto della vita era racchiuso nel teorema di Gödel. Il suo libro «Il computer e il cervello» anticipava di qualche anno il meccanismo della riproduzione genetica, basandosi appunto su quel teorema.»

E' vero, nel teorema di Gödel c'è tutto: i lavori di Turing sui computer, di von Neumann sugli automi autoriproducentesi, di McCarthy sul linguaggio di programmazione LISP, ...

«Per quanto riguarda la coscienza, invece, che legame c'è con la meccanica quantistica?»

Secondo me, nessuno. E credere che ci sia è un tipo di misticismo, come nel caso di Penrose.

«Il quale, tra l'altro, usa il teorema di Gödel in maniera opposta alla sua: contro, invece che a favore dell'Intelligenza Artificiale.»

E' vero, apparteniamo a religioni diverse. Ma ci deve pur essere qualcuno che espone l'altro punto di vista.

«Lasciando il passato, a che cosa sta lavorando ora?»

Sto pensando a un libro sulle analogie. Il titolo potrebbe essere «La fisica: un edificio costruito sulle analogie», oppure «Il sorprendente potere dell'analogia nella fisica». Dico "nella" fisica, e non solo "in" fisica, per sottolineare l'idea che i fisici prendono in prestito idee che preesistevano dentro la fisica stessa. Un esempio tipico è il "fonone", che è il quanto del suono, derivato per analogia dal "fotone", che è il quanto di luce.

«O lo "psicone" ...»

Ah, ah. Lasciamo perdere, per favore! Stavamo parlando seriamente ...

«Anche Eccles, credo, parlava seriamente.»

Sí, ma io volevo parlare di fisica e non di misticismo.

«Eppure, è sorprendente quante idee della fisica del Novecento siano state proposte sulla base di metafisiche imbarazzanti, per non dire insensate.»

Sono d'accordissimo, perchè l'analogia è proprio un modo per evitare il pensiero razionale. Ma si tratta di magia, non di misticismo.

«Anche se "misticismo" ha la stessa radice di "mistero". Oltre che di "mistificazione", e magari anche di «mist», "nebbia".»

Il prefisso mi fa venire in mente quello che probabilmente è il miglior gioco di parole che esista: «A mistress is halfway between a mister and a matress», "un'amante sta a metà tra un signore e il materasso". Incredibile, no?

«Una "parola cerniera" nel senso di Lewis Carroll.»

Il quale fa dire alla Regina in «Alice»: "bisogna credere ogni giorno sei cose impossibili prima di colazione". La fisica è cosí, per me. Ma quelle cose, impossibili da credere, devono essere verificabili o refutabili sperimentalmente. E' lí che sta la differenza tra l'intuizione scientifica e il misticismo irrazionale.
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Intervista tratta da: http://www.vialattea.net/odifreddi/Hof.htm
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Boll
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Messaggio da Boll »

Sisifo ha scritto:(come si fa la o con l'umlaut?)
OT: ALT+148
se non lo sapessi io... :D:D:D
"Ma devo prendere una n-upla qualsiasi o una n-upla arbitraria?" (Lui)
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Ponnamperuma
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Messaggio da Ponnamperuma »

Boll ha scritto:
Sisifo ha scritto:(come si fa la o con l'umlaut?)
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David
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Messaggio da David »

mi hanno regalato questo libro per il compleanno di 17 anni. allora non ne avevo neanche sentito parlare e i miei amici l'avevano scelto grazie ad una commessa e non perchè lo conoscevano... cmq sia il libro ancora devo finirlo perchè tempo fa ho smesso per un po' visto che mi ero perso in diversi pezzi nelle dimostrazioni... in realtà di dimostrazione non ne avevo capito neanche mezza :D :oops: :D .
secondo me vale la pena di leggerlo nonostante sia difficile e pesante anche perchè i dialoghi che scrive sono semplicemente fantastici...
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The_Ouroboros
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Messaggio da The_Ouroboros »

molto bello, denso e pregno di spunti di riflessione... letto un capitolo a sera è la formula giusta..
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jordan
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Messaggio da jordan »

è il massimo.
come descrive bach poi è forse l'apice di tutto..ed è tutto vero il bello (forse l'autore l'avrà suonato x molti anni x dire quelle cs..)
Ultima modifica di jordan il 13 giu 2008, 23:53, modificato 1 volta in totale.
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Cesco
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Messaggio da Cesco »

è molto bello sto libro...purtoppo un po pesantuccio...
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Laplace89
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Messaggio da Laplace89 »

L'ho letto qualche mese fa, è molto bello e tratta l'argomento in questione in maniera molto ampia ed esauriente, sono gradevoli anche i collegamenti di tipo trasversale con altre discpline, anche se in alcuni punti la lettura è piuttosto pesante.
'La matematica è la regina delle scienze, l'aritmetica è la regina della matematica'; C.F.Gauss
Kripke
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Messaggio da Kripke »

Per una contingenza cronologica, a me è capitato di leggere questo libro una ventina di anni fa, non immediatamente a ridosso della sua uscita: sempre durante i primi anni dei miei studi universitari, ma cronologicamente dopo aver letto altre eccellenti opere divulgative sui medesimi argomenti, come ad esempio "Forever undecided" di Smullyan e "La mente nuova dell'Imperatore" di Penrose.

Aggiungerei che attorno a questo testo ci sono state molta enfasi e sopravvalutazione negli anni '80 e primi '90, anche da parte di personaggi non sufficientemente preparati a valutarne criticamente i contenuti logici e scientifici: forse anche perché edito da Adelphi, una casa editrice tradizionalmente specializzata in raffinati contenuti umanistico-filosofici, come sempre volle l'erudito e geniale patron, il filosofo Roberto Calasso.

Ritengo, come già qualcuno ha fatto nel thread, che si debba scindere e distinguere il valore dell'opera su almeno due piani: da un lato c'è la magnificenza del percorso, che - a prescindere da alcuni errori - tocca una vastissima serie di argomenti, alcuni anche molto interessanti. In questa abbondanza c'è un valore intrinseco, e ciascun giovane lettore probabilmente troverà qualcosa che non conosceva (specialmente se si legge il libro all'età in cui H. lo ha scritto, cioè all'epoca del dottorato).
Dall'altro lato c'è la tesi di fondo, una tesi meccanicistica sulla IA basata su un utilizzo strumentale, forzato e (volendo essere generosi) puramente metaforico dei teoremi limitativi di Gödel.

Personalmente, confesso, questa tesi mi è rimasta indigesta da subito, avendo letto prima Smullyan e Penrose. Negli anni la mia posizione filosofica in materia si è poi consolidata, confermando con solide radici l'impressione iniziale.
Penrose in particolare ha assunto posizioni diametralmente opposte ad Höfstadter sulla IA. I testi di P. dell'epoca non mancano certo di difetti, ma almeno l'autore ha "azzeccato" idee fondamentali: una su tutte, che la Matematica è un processo creativo complesso, non imitabile da una macchinetta. In termini più moderni, parliamo di un sistema "logicamente aperto", come dice il fisico teorico Ignazio Licata in riferimento al quadro interpretativo dato da Chaitin, che peraltro ben si accorda con la tradizione della sistemica generale originata da Klir e Von Bertalanffy. Si veda anche questa succinta ma accessibilissima spiegazione.

Fortunatamente ormai le considerazioni dei duelli H-P fanno parte di un dibattito tramontato sulla cosiddetta "IA forte", che oggi è stata sostanzialmente archiviata come una grossa sbornia collettiva, con sonore sghignazzate di chi in tale quadro interpretativo non ha mai creduto.

Consiglio comunque di leggere insieme i libri di H. e P.: veleno e antiveleno... ;)

Poiché qualcuno ha già segnalato l'intervista di Odifreddi ad H., segnalo volentieri anche una sua recensione tandem ai due divulgatori di opposte tendenze (Höfstadter e Penrose, appunto).
"Die ganzen Zahlen hat der liebe Gott gemacht, alles andere ist Menschenwerk." (Leopold Kronecker)
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